“Missoltiniana”

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Storia di pesci, arte e letteratura culinaria, da Como a Mantova con Mantegna, alla Norimberga di Dürer.

Arrivando alla piazza del Duomo, provenendo dalla via Vittorio Emanuele, (per tutti i Comaschi, la via del passeggio denominata “Vasca”) chissà quante volte abbiamo alzato gli occhi andando a leggere l’ora segnata dalla meridiana posta sulla parete sud-est della cattedrale. In molti ci saremo anche chiesti perché il finestrone “delle Sibille”, che si trova lì affianco, sia da sempre murato e perché le Sibille che lo contornano trovino posto su un edificio di culto. Non avevo mai osservato il fregio che le sovrasta e che, come poi ho riscontrato, ne replica uno simile scolpito nel 1509 sull’architrave interno della porta che si trova sulla stessa parete. Il soggetto ritrae uno scontro fra divinità marine, tritoni ed ittiocentauri, intenti a colpirsi con bastoni e fruste di pesci perpetrando il ratto di opulente femmine. Il tema, abbastanza diffuso (come riporta Giorgio Marini in “Mostri dagli abissi: modelli e codici di rappresentazione nell’incisione del Rinascimento“) e osservato, già nel 1900, da Alfred Gotthold Meyer sulla base delle colonne dell’altare di San Girolamo nella Chiesa di San Francesco d’Assisi a Brescia, costituisce una reinterpretazione, ad uso della fede, di quanto nell’arte classica si usava per esprimere l’idea del viaggio periglioso dell’anima verso il paradiso dei beati. La cosa curiosa è che, nel documentarci sull’argomento, scopriamo una anticipazione della stessa rappresentazione in una incisione della seconda metà del ‘400 attribuita al Mantegna e custodita nella collezione del Duca di Devonshire a Chatsworth nel Regno Unito. Un soggetto che lo stesso Albrecht Dürer al rientro in Norimberga dal suo primo viaggio in Italia, riprese intorno al 1498. Fil rouge e all’origine della diffusione di questo tema, che grazie al Mantegna aveva stimolato molti artisti a produrre opere popolate di creature acquatiche che rapiscono fanciulle, potrebbe essere, come suppone il Panofsky, il breve racconto che Poggio Bracciolini pubblicò col numero XXXIV fra le sue “Facetiæ“, nel 1470 con la prima edizione a Venezia, l’anno successivo a Ferrara e a Norimberga nel 1472. In esso Bracciolini racconta: “È provato che fu riportata a Ferrara l’immagine di un mostro marino rinvenuto sulla costa dalmata: sino all’ombelico aveva corporatura d’uomo, continuava poi in pesce dimodochè finiva diviso in due. […] donne sulla spiaggia lavavano panni; pare che il pesce, spinto dalla fame, si sia avvicinato ad una di esse nel tentativo di ghermirla […] era un po più grosso e alto di un uomo […]”.

Sta di fatto, riprendendo con un divertissement d’invenzione la visita alla Cattedrale di Como, ho immaginato di udire una sorta di rumor di legni percossi, provenire da quel fregio in cui mostri ed energumeni si prendevano a bastonate e pesci in faccia con missoltini affastellati, ossia un mazzo di agoni essicati, e pesci bastone, stoccafissi o stocchi, ossia quegli “stokkfisk” dei quali si testimonia e racconta al Tørrfiskmuseum in Norvegia, sulle isole Lofoten. Al largo di queste isole si trova il famoso Maelström, enorme gorgo perenne, riportato da Olaus Magnus nel XVI secolo nella sua Historia de Gentibus Septentrionalibus e pure da lui disegnato con l’Isola di Thule (Tile) e una incredibile congerie di mostri marini nella Carta Marina.

Il missoltino, che per sua preparazione (essicazione) e legnosità potrebbe essere inteso come la versione lariana dello stoccafisso, è una preparazione alimentare povera di un pesce, l’agone, la cui storia viene di lontano. L’Agone, difatti, deriva dalla Cheppia (Alosa fallax nilotica) specie marina che ancora oggi risale il corso del Po per la deposizione delle uova, dal mare Adriatico, nuotando lungo i fiumi. Questo pesce, col tempo è giunto anche nel nostro lago, stabilendovisi, ed è passato anche lungo le rive di Reggio Emilia, patria di un artista e carissimo amico, da annoverare tra i maggiori estimatori del missoltino in tutte le varietà di preparazioni gastronomiche. Per anni, in cambio di lambrusco e formaggio reggiano, a Natale e, come si dice, alle feste comandate, gli ho spedito, in buste ermetiche molti missoltini assieme a sigari svizzeri dalla foggia curiosa, avviticchiati a due a due come le colonnine delle bifore del Broletto di Como. La nostra amicizia si è mostrata in questo una sorte di sodalizio epicureo, che è sfociato nel 2005 in una mostra, un libro e una serie di incontri interdisciplinari a Como. L’operazione, denominata nel suo insieme “Un acquario latino”, ha preso forma compiuta da una prima idea di mostra che era nata da un mio incontro con la naturalista Paola Iotti e gli amici della Como Sub con i quali si ragionava sugli esiti di una precedente iniziativa incentrata sulle sirene. Perché non occuparci della fauna ittica in generale, e di quella del lago in particolare? ci siamo chiesti… una prima risposta si è presentata successivamente, quando con Luigi Picchi, poeta e raffinato latinista, abbiamo pensato di scavare nella cultura romana per trovare parametri di riferimento. Sapevamo che Giovio e Plinio, personaggi comaschi per eccellenza, si erano occupati ampiamente di natura e dopo attenta analisi, con una variazione di percorso, ci siamo concentrati su Ovidio, Ausonio e Benedetto Giovio, deducendone che come sottolinea Luigi Picchi nella sua introduzione alla mostra: “[…] Noi siamo come pesci. L’uomo è un po’ pesce, più o meno smarrito o “navigato”, nel mare dell’Essere, nei fondali oscuri, ora insidiosi ora tattici, dell’esistenza e della realtà. I pesci siamo noi, i pesci sono noi, sono dentro di noi: sono i nostri strani, arcani, mostruosi e meravigliosi pensieri, sono quello che di noi ci sfugge e sfugge alla luce del sole, alla terrestre amministrazione. Infatti ciò che è terrestre è più controllabile e dominabile; l’acqua, invece, rende tutto più sfuggente, labile e distorto. […]”

Letteratura, storia, itiologia arte e culinaria sono entrati in gioco e molto si è detto e scritto ma chi volesse saperne di più può leggere e consultare tutto il materiale, tutt’ora in rete all’indirizzo

http://www.caldarelli.it/nanitedeschi/indice.htm

Michele Caldarelli (agosto 2020)

Immagine di copertina
Nani Tedeschi – china e acquerello su carta a mano – cm. 91 x 62,5 –  2005
Quanti pescetti ha generato l’argentea linfa Così numerose son le stirpi canore
(da Benedetto Giovio)

Michele Caldarelli (Milano 1950) architetto, giornalista, storico, semiologo e critico d’arte, dal 1977 dirige la galleria d’arte “Il Salotto” attiva a Como dal 1965. L’interdisciplinarità, con una predilezione per il rapporto arte-scienza, è il filo conduttore di più di un centinaio di mostre da lui curate in Italia, Europa, Stati Uniti e Sud America.  responsabile del sito Internet www.caldarelli.it da lui creato nel 1996. Ha ideato e realizzato svariate pubblicazioni e libri d’artista tra cui i 60 titoli della collezione di minilibri da taschino del gilet “Minima Poetica” e la nuova collezione “8×8” costituita, questa, da inediti racconti, saggi filosofici, viaggi immaginari e manuali di sopravvivenza intellettuale

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