Sulle sponde del Lago di Como, dove fu composta, torna al Sociale La sonnambula di Bellini

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Sulle sponde del Lago di Como, dove fu composta,
torna al Teatro Sociale

La sonnambula di Vincenzo Bellini
Secondo titolo della stagione operistica 2019/2020

 

Teatro Sociale
giovedì 24 ottobre, ore 20:00
sabato 26 ottobre, ore 20:00

Secondo titolo della stagione lirica 2019/20, La sonnambula di Vincenzo Bellini torna in scena al Teatro Sociale di Como per due recite, giovedì 24 ottobre e sabato 26 ottobre, in un allestimento in co-produzione con i Teatri di OperaLombardia e Ópera de Las Palmas de Gran Canaria, per la regia di Raúl Vázquez, le scene di Sergio Loro, i costumi di Claudio Martín, le luci di Vincenzo Raponi, sul podio Leonardo Sini.

Tra gli interpreti ricordiamo che Veronica Marini (Amina), Giulia Mazzola (Lisa), Davide Giangregorio (Il Conte Rodolfo) sono i vincitori per il ruolo, nella passata edizione (70sima) del concorso AsLiCo per giovani cantanti lirici. Il cast si completa con Sofia Janelidze nei panni di Teresa, con Ruzil Gatin e Edoardo Milletti, in alternanza nel ruolo di Elvino, mentre Luca Vianello è Alessio, Claudio Grasso è un notaio.

L’opera semiseria in due atti venne composta in appena due mesi (gennaio – febbraio 1831), principalmente a Moltrasio, per debuttare al Teatro Carcano di Milano il 6 marzo 1831.

Il soggetto, di pura evanescenza romantica, dalla trama assolutamente innocente -pertanto non suscettibile di censure- venne tratto da La Somnambulecomédie-vaudeville di Eugène Scribe del 1819 e da La Somnambule ou L’arrivée d’un nouveau seigneur, un ballet-pantomime (1827) dello stesso Scribe, rielaborato da Felice Romani, autore del libretto.

La prima interprete a rivestire i panni di Amina fu Giuditta Pasta, il soprano che dal 1827 aveva trovato dimora a Blevio, a Villa Roda, dove ebbe modo di ospitare più volte Vincenzo Bellini, Felice Romani con la moglie- la poetessa Emilia Branca-, Stendhal, Gioachino Rossini e autorevoli intellettuali dell’epoca.

Questo milieu, che favorì il felice sodalizio tra compositore, librettista, la prima interprete femminile, l’ispirazione paesaggistica (un luogo bucolico, un villaggio ai piedi delle Alpi) fa sì che La sonnambula sia il titolo più emblematico legato al Lago di Como, nonostante il Lario avesse già ispirato importanti pagine operistiche (ad esempio il Tancredi di Rossini nel 1813, La Straniera di Bellini nel 1829, le ultime note dell’Anna Bolena di Donizetti nel 1830).

Antonino Amore, acribico biografo belliniano, in due opere (Vincenzo Bellini, Arte. Studi e ricerche, Catania, 1892 e Belliniana. Errori e smentite, Catania, 1902), così si sofferma sul medesimo periodo “[…]la sera poi, quando gli ultimi raggi del sole imporporavano i colli che fan corona al bel lago, e le finestre dei villini, sparsi qua e là, per le amene pendici, si accendono di cento baleni, Giuditta e Bellini prendevano diletto nel lasciarsi dentro una barchetta cullare dalle onde, ora intenti ad ascoltare il canto delle giovani lavandaie che, vispe ed allegre rincasavano dopo il lavoro del giorno, ora assorti nella contemplazione del creato che con ineffabile armonia parlava alle anime loro. E l’dilio soave del cuore diede origine all’idilio soave e gentile dell’arte “Sonnambula” […]”.

Il sonnambulismo, perno della vicenda nell’opera belliniana, stato di incoscienza in cui versa Amina, che poi ritroveremo in Lady Macbeth -nella scena del IV atto Una macchia è qui tuttora– nel Macbeth di Giuseppe Verdi in scena sempre al Teatro Sociale (terzo titolo operistico, giovedì 31 ottobre e sabato 2 novembre) fu un fenomeno molto osservato nell’800, sovente assimilato alla follia, o come la follia manifestazione improvvisa e misteriosa, reale e onirica, tra finzione e patologia, un intrigante escamotage che poteva creare suspence e poi permettere agli autori e drammaturghi un’agnizione o un coup de théâtre.

La natura è stata vista come un elemento vivo” afferma il regista Raúl Vázquez “in continua evoluzione: da affresco sulle mura di un albergo, dove ho ambientato la vicenda, la natura, ritratta in modo artistico e artificiale, si trasformerà nel momento più drammatico, frantumerà lo spazio creato dall’uomo, per espandersi, con una vegetazione che crescerà. Il bosco diverrà personaggio all’interno del dramma.

Leonardo Sini sul podio, così si esprime “La vicenda è ambientata in un villaggio svizzero, le cui ampie tinte pastorali e gli avvenimenti della vita campestre si riflettono nella musica di Bellini sin dalle prime note della partitura. Ne sono esempi il richiamo dei corni (tradizionalmente associati alla natura e ai segnali della caccia) all’inizio dell’opera, il suono della banda fuori scena che evoca, come indicato in partitura, lontani “suoni pastorali”, o ancora il “suono delle cornamuse”, reso da due corni in lontananza subito dopo l’arrivo del conte Rodolfo, che richiama alla mente gli ampi spazi aperti della montagna. L’atmosfera campestre non è tuttavia dipinta musicalmente tramite il semplice impiego di sonorità ad effetto. La purezza della melodia, il ritmo semplice degli interventi corali e il dialogo frequente fra i solisti e il coro dei contadini, sono tutti elementi che insieme concorrono a formare il carattere e il clima caratteristici di quest’opera.

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