Sono le donne comasche ad aver pagato il prezzo più caro della pandemia in corso sul nostro territorio.
Secondo i dati Istat, nel 2020, nel Comasco l’occupazione femminile è scesa di 2694 unità. I settori in cui si è avvertito in maniera più forte il calo sono l’industria (-3956), gli alberghi e i ristoranti (-1798) i servizi alle imprese (-541), i trasporti e la logistica (-368).
Segni positivi invece nella sanità (+19), nel commercio (+1410) e nell’informazione e nella tecnologia (+2270).
Emblematico il comparto degli alberghi e dei ristoranti: in provincia, a fronte di un aumento generale dei posti, +911, si registra in dodici mesi una perdita specifica di posti occupati da donne pari a -1798.
Nell’industria, invece, considerando solo l’occupazione femminile del settore, in un anno si è verificato un calo del 15%.
«Servono senza dubbio interventi nel campo della conciliazione dei tempi di vita e lavoro – spiega Sandro Estelli, segretario della Filctem e componente della segreteria della Camera del Lavoro di Como – è evidente che le donne si sono fatte carico dei problemi e delle difficoltà derivanti dalla gestione della famiglia durante la pandemia. Peraltro, i nonni, in questa fase, spesso non hanno potuto accudire i nipoti. Hanno pagato il prezzo più alto i contratti part time o instabili e le basse professionalità».
In generale, hanno sofferto anche le giovani in ingresso nel mondo del lavoro: «Spesso non si sono viste rinnovare il contratto, interrompendo il ricambio generazionale – conclude Estelli – c’è bisogno di ammortizzatori sociali e continuare con il blocco dei licenziamenti, anche nelle grosse aziende. Ora, più che mai, non bisogna lasciare indietro nessuno».